La sfida per un nuovo ecologismo
Non bastava una martellante presenza mediatica quotidiana, i discorsi alle Nazioni unite e al parlamento europeo, i suoi libri e interventi pubblici, ora Greta Thunberg avrà anche un documentario biografico a lei dedicato intitolato “I am Greta” dai toni apologetici in cui si racconta la “sua crociata internazionale per convincere la gente ad ascoltare gli scienziati sui problemi ambientali del mondo”.
E in effetti, se proprio dovessimo riconoscere un merito alla giovane attivista svedese, sarebbe quello di aver acceso i riflettori sulla problematica ambientale che esiste e rappresenta un tema del futuro. C’è però un nodo di fondo dell’ambientalismo di Greta e dei suoi adepti dei Fridays for Future, non tanto legato alle domande che si pongono, quanto alle risposte a cui giungono.
Così, il nuovo film su Greta rappresenta il coronamento di un progetto non solo di carattere ambientale ma anche politico-culturale portato avanti dalla giovane attivista svedese e dal mondo che la supporta basato su una visione globalista dell’ambiente che non tiene considerazione le comunità locali e dimentica le esigenza dei lavoratori, dei ceti più deboli, delle imprese e degli imprenditori. Un ambientalismo a cui è necessario contrapporre una visione alternativa che parte dal locale ancor prima che dal globale, considerando le singole identità e tradizioni e concependo l’uomo non come un avversario della natura ma facente parte di un unico grande insieme che è il creato.
La visione cristiana che unisce uomo e natura nel concetto di creato, è l’approccio più corretto per un ecologismo di matrice identitaria e conservatrice. Una visione sintetizzata dal vescovo francese Dominique Rey in un breve ma denso testo intitolato “Cattolicesmo, ecologia e ambiente” ma che si riscontra già nella Bibbia e nel pensiero di San Francesco. Non è solo la religione cristiana a sottolineare il legame inscindibile tra uomo e natura, anche nelle civiltà tradizioni la natura veniva intesa nel suo aspetto più sacro e spirituale e nel pantheon degli dei greco-romano gli elementi naturali caratterizzano le divinità. La sacralità della natura è un aspetto del tutto estraneo all’ambientalismo moderno eppure, per lunghi secoli, ha rappresentato un elemento imprescindibile. Intendiamoci, nessuno vuole negare le responsabilità dell’uomo nell’inquinamento, nel consumo del suolo indiscriminato, nello sfruttamento delle risorse ma non si può dimenticare lo straordinario contributo nell’arricchire la nostra terra e contribuire alla sua bellezza.
L’Italia ne è l’emblema; il nostro è il paese più bello del mondo sia grazie allo straordinario e unico panorama naturalistico che abbiamo ereditato sia per il contributo dell’uomo che nei secoli ha costruito monumenti, chiese, palazzi, realizzato opere d’arte.Non si può perciò accettare acriticamente l’ambientalismo del “tutto e subito” perché “il nostro pianeta sta bruciando” portato avanti da Greta Thunberg, così come non si può lasciare una tematica che dovrebbe appartenere a tutti i cittadini a prescindere dal loro credo politico, alla nuova sinistra liberal e globalista.
A maggior ragione perché, come si cerca di raccontare in “Conservare la natura. Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori”, il tema dell’ambiente è da sempre caro alla destra. Come già scriveva Paolo Colli, animatore di Fare Verde, occorre difendere la natura e “quell’equilibrio da mantenere a tutti i costi per noi e per chi verrà dopo di noi, fra cento o duecento anni”. La sfida nei prossimi anni dovrà essere proprio questa: dar vita a un ecologismo che coniughi le esigenze della natura con quelle dell’uomo senza dimenticare il risvolto socio-economico della riconversione energetica.