La comunità al centro delle politiche Green e della innovazione
Il 2020 che si avvia a conclusione sarà certamente ricordato come l’anno della pandemia da Covid-19, ma questa non è certamente stata l’unica emergenza con cui abbiamo dovuto imparare a convivere e che abbiamo dovuto affrontare.
Dai dati a disposizione, il 2020 ha segnato un punto di svolta anche per quanto riguarda l’innalzamento della temperatura media, rispetto all’ultimo trentennio, di oltre 3.4 gradi.
Con tutte le conseguenze del caso, alcune facilmente immaginabili, altre che dispiegheranno i propri effetti in un futuro prossimo.
Ragionare di questi temi, identificare le priorità, approfondire le possibili soluzioni, significa porre al centro della riflessione, anche politica, una visione consapevolmente ecosostenibile per il futuro del nostro pianeta, rispettosa delle risorse e della loro finitezza.
Il nostro paese si trova, per posizione geografica, al crocevia di mutamenti climatici che ormai hanno assunto evidenza anche per gli osservatori più distratti.
Ci confrontiamo con il progressivo degrado del sistema delle infrastrutture, con la progressiva desertificazione di alcune aree del Sud, con la comparsa di fenomeni in grado di ferire interi territori mettendone in pericolo stabilità e prospettive.
Ci confrontiamo con cambiamenti epocali che investono ogni nostro più piccolo gesto.
Abbiamo dovuto, nel giro di pochi mesi, inventarci una nuova quotidianità imparando nuovi gesti e nuove modalità di relazione.
Ora, l’incrocio fra i fenomeni climatici e quanto sta accadendo con la pandemia sembra essere accertato, così come sembra indifferibile intervenire in maniera decisa per un cambio di prospettiva nell’osservazione e nell’intervento sulla filiera agroalimentare che è protagonista principale, nel bene e nel male, di questa complicata fase di passaggio.
C’è un tema che nel corso degli ultimi anni ha assunto una posizione centrale nella riflessione intorno alla sostenibilità ambientale delle azioni umane in generale ed, in particolare, per quanto riguarda la filiera agroalimentare.
Ci riferiamo alla cosiddetta Open Green Innovation che tiene insieme un approccio sostenibile, aperto e legato al progredire dell’innovazione, soprattutto digitale.
La filiera agroalimentare necessita più di altre di una riscrittura dei modelli organizzativi e di business, quelli tradizionali rischiano infatti di non essere più in grado di corrispondere all’incremento demografico previsto per i prossimi decenni e alla richiesta, sempre più tra le abitudini dei consumatori soprattutto dei paesi occidentali, di una maggiore qualità dei prodotti che quotidianamente raggiungono le nostre tavole.
Quando diciamo digitale, diciamo rete e fare rete: condividere le esperienze, le conoscenze, le competenze, significa lavorare insieme per aumentare il vantaggio competitivo su un mercato che sconta, a tutt’oggi, ritardi che necessitano urgentemente di essere colmati con appositi provvedimenti a sostegno del comparto nel suo complesso, con l’obiettivo di superare, da un lato, un gap dimensionale rispetto ad altre filiere su scala mondiale e, dall’altro, il diffondersi di monocolture intensive come unica risposta al mercato.
Quando diciamo rete diciamo anche sharing economy e nuovi modelli collaborativi come la Community economy che mette al centro delle sue priorità i bisogni di una comunità e ridisegna un modello di relazioni, anche economiche, che meritano un approfondimento perché possono essere una risposta ad un processo di globalizzazione dal quale la nostra biodiversità e il nostro patrimonio di cultura e tradizione rischiano di essere spazzati via.