Ambientalismo applicato alle imprese, scattano i controlli sulle attività green
L’ambientalismo elevato a metro di misura universale. Di più, trasformato in ideologia, a volte fino a sfiorare il feticismo, per far nascere partiti e strategie politiche ma anche per giustificare ogni sorta di azione e di decisioni da parte di Stato e governi, a cominciare dalle politiche di carattere economico. È questo il rischio versoi cui si sta perentoriamente scivolando, ciò quello di perdere il senso e la misura dei pur necessari e urgenti interventi correttivi per la salvaguardia dell’ambiente. Esiste una spiccata tendenza ad un mondialismo ambientale in nome del quale una certa sinistra, soprattutto, vorrebbe essere legittimata a dettare regole di carattere economico e politico, regole di vita e perfino di condotta morale.
Un’aspirazione all’universalismo troppo spesso cavalcata da chi, orfano di ideologie e di pensiero politico adeguato alla complessità della realtà sociale ed economica, riveste le sue azioni con la bandiera dell’ambientalismo.
Anche il mondo economico-finanziario è oggetto, forse sarebbe meglio dire bersaglio, di questa immanente tendenza. Oltre le paventate strette fiscali, che disseminano a larghe mani tassazioni spesso con sapore dai rimandi punitivi, come nel caso delle imposizioni fiscali per produzione e/o consumo di plastiche, in Europa come negli Stati Uniti per le imprese sono scattate stette sui controlli relativi agli investimenti green. In particolare, dal 10 marzo scorso nel territorio della UE è in vigore il Regolamento sulla divulgazione delle finanze sostenibili (SFDR), norme che disciplinano la diffusione di informazioni per le aziende che operano nel settore finanziario. Si tratta di un sistema di controllo e verifica sulle informazioni relative alla sostenibilità degli investimenti, in ambito ambientale ma anche sociale. L’obiettivo è il contrasto al cosiddetto greenwashing da parte delle aziende, cioè false attestazioni di operazioni legate alla sostenibilità, attività in tutto o in parte mai realizzate. Una stretta che, in realtà, si rende de necessaria per quelle società finanziarie che commercializzano prodotti legati alla sostenibilità ambientale e sociale.
Una stretta analoga, e dai profili ancora più incidenti, è stata messa in atto negli Stati Uniti dove la Sec, l’autorità di vigilanza per il controllo dei mercati finanziari, ha fatto ricorso a dei veri e propri 007 della finanza. Sono i whistleblower ad agire contro i furbetti del green, 22 ispettori specializzati per scovare le aziende che garantiscono obiettivi sostenibili senza poi attuare le necessarie attività. Una task force “Climate and Esg” inserita nella divisione Enforcement. Per le aziende non sarà più sufficiente dare una verniciata di verde alle attività per sfuggire ai controlli.
In generale i controlli sulle aziende, in Europa come negli Usa, saranno estesi alle performance rispetto a specifici criteri ESG, cioè Environmental, Social e Governance (ambiente, sociale e governance). Sec
“L’acronimo ESG – scrive il sito specializzato www.digital4.biz – racchiude una serie di elementi di valutazione utilizzati nel settore finanziario per giudicare la sostenibilità degli investimenti, in un’ottica di valutazione complessiva di un’impresa che va oltre i risultati puramente economici. In altre parole, per valutare un investimento, ovvero il profilo di rischio/rendimento dei portafogli, è sempre più comune che vengano prese in considerazione anche le performance rispetto a specifici criteri ESG.
Fanno riferimento all’impatto ambientale parametri come le emissioni di anidride carbonica, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali (come l’acqua), l’attenzione al cambiamento climatico (climate change), alla crescita della popolazione, alla biodiversità e alla sicurezza alimentare.
Nell’ambito del sociale rientrano invece il rispetto dei diritti umani, le condizioni di lavoro, ad esempio l’impiego di lavoro minorile nella produzione, e l’attenzione all’uguaglianza e all’inclusione nel trattamento delle persone, il controllo della catena di fornitura.
Nella sfera governance rientrano la presenza di consiglieri indipendenti, politiche di diversità (di genere, etnica, ecc.) nella composizione dei CdA, remunerazione del top management collegata a obiettivi di sostenibilità”.