La vulnerabilità energetica dell’Italia che dice sempre no
Intervista a CORRADO CLINI
DIrettore generale del Ministero dell’Ambiente e Ministro dell’Ambiente
La crisi energetica e la guerra in Ucraina hanno fatto riscoprire all’Italia la necessità transpartitica della “sovranità energetica”.
La vulnerabilità energetica dell’Italia è il combinato disposto dell’Italia del NO e del lungo partenariato energetico con la Russia, secondo in Europa solo a quello della Germania. L’Italia del NO è quella della “botte piena e della moglie ubriaca”:
– sono state distrutte le eccellenze tecnologiche e scientifiche nazionali per l’uso pacifico dell’energia nucleare, ma va tutto bene se l’elettricità viene dalle centrali nucleari ai confini dell’Italia (il 50% circa dell’elettricità importata da Francia, Svizzera e Slovenia);
– i nostri rifiuti radioattivi stanno bene all’estero, non importa a che prezzo;
– i rifiuti di metà dell’Italia non possono essere destinati a produrre energia “pulita” vicino casa, ma devono essere esportati a caro prezzo (fino a 300 €/ton) nei paesi europei. E beffa delle beffe, paghiamo una sanzione di 125.000 euro al giorno dal 2015 per la malagestione dei rifiuti della Campania!
– il gas naturale nell’Adriatico deve rimanere lì, e poco importa se Croazia, Albania e Grecia estraggono gas dallo stesso mare e dagli stessi pozzi. Eppure il gas naturale era, ed è, al momento l’opzione di “back up” per le fonti rinnovabili, ovvero il combustibile “di transizione” che assicura continuità all’erogazione di elettricità quando il sole e il vento non assicurano generazione. Perché non valorizzare il potenziale di produzione nazionale, che potrebbe coprire fino al 30% degli oltre 70 miliardi di metri cubi importati ogni anno, e a costi fino a 4 volte inferiori?
– il TAP è stato per anni “la coda del diavolo” da non far entrare in Italia. E il governo Conte 1 è anche riuscito a bloccare nel 2018 la realizzazione del gasdotto EASTMED da Israele all’Italia (attraverso Cipro e la Grecia) con una capacità di 20 miliardi di metri cubi di gas naturale.
Questi dati spiegano che l’Italia del NO è l’azionista occulto della dipendenza energetica dalla Russia.
Ma l’Italia del NO si esercita anche con successo sulle rinnovabili. Il sole, il vento, l’energia idroelettrica, il biogas coprono il 20% circa della domanda di energia. Ma la quota di rinnovabili sarebbe molto più rilevante se la realizzazione di nuovi impianti non fosse fortemente contrastata. A questo proposito va considerato che un sostituto del gas è l’idrogeno “verde”, prodotto dalle fonti rinnovabili. Sarà difficile uscire dalla dipendenza dal gas se non aumenterà la quota di energie rinnovabili destinata anche alla produzione di idrogeno.
Pur avendo avviato un percorso di transizione ecologica che prevedeva nel 2025 l’addio al carbone, oggi abbiamo riacceso le centrali alimentate da questa fonte fossile.
Il riavvio delle centrali a carbone è una misura “difensiva” necessaria. Le centrali a carbone possono utilizzare il combustibile solido secondario prodotto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, nel pieno rispetto delle più rigorose norme nazionali ed europee.
Insomma, invece di esportare rifiuti utilizziamoli per contribuire alla produzione di elettricità riducendo le emissioni e l’inquinamento ambientale.
Ma al tempo stesso ci sono forti preclusioni sul nucleare che a detta di tutti è senza dubbio il futuro.
Il rapporto del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici ha confermato che l’intensità di CO2 del “ciclo di vita” del nucleare è inferiore a quella dell’energia solare. Il nucleare copre il 25% della domanda di elettricità dell’Europa. Senza il nucleare l’Europa sarebbe molto più inquinata.
Sarebbe ora di riaprire in Italia il dossier nucleare, per partecipare in modo attivo e senza pregiudizi al rapido sviluppo dei reattori di nuova generazione, inclusi gli small modular reactors (SMRs), reattori di piccola taglia con sistemi di raffreddamento alternativi e pressione inferiore agli impianti tradizionali.
Anche fosse trovata la quadra politica e tecnica, quali sarebbero i tempi di realizzazione di una centrale (o più centrali) nucleari in Italia? Serviranno norme ad hoc?
La tassonomia “verde” approvata dalla Commissione Europea ha introdotto il nucleare tra le soluzioni sostenibili per la neutralità climatica, a due condizioni:
– i nuovi impianti dovranno essere realizzati entro il 2045 con tecnologie in grado di assicurare ulteriori livelli di sicurezza e minimizzazione dei rifiuti radioattivi;
– l’impiego di combustibile “accident-tolerant nuclear fuel” per aumentare i livelli di sicurezza, già a partire dal 2025 negli impianti esistenti.
Seguendo il percorso indicato dalla Commissione Europea, il 2045 è un traguardo possibile per l’Italia.
Ma forse, come già sta avvenendo in Gran Bretagna, i tempi potrebbero essere più brevi per l’installazione di small modular reactors (SMRs).
Non so se servono norme nazionali, ma certamente servono capacità di scelta e di decisione della politica.
C’è un ruolo energetico dell’Italia nel Mediterraneo?
L’Italia, come la Grecia e la Spagna, è destinata a essere la porta di ingresso in Europa del gas da Israele, Egitto, Libia, Algeria, per effetto della accelerazione della diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Ma l’Italia può essere un “hub solare” oltre il gas, con la realizzazione di interconnessioni elettriche tra il nostro paese e il Nord Africa per l’importazione nella rete europea di energia solare prodotta in una regione (tra Algeria, Tunisia e Libia) che ha un potenziale sufficiente a coprire la domanda di elettricità dell’intera Europa. E nella stessa regione dalla quale viene il gas per l’Europa, oltre a produrre l’elettricità dal sole sarebbe anche possibile produrre l’idrogeno verde da miscelare nel gas.
Ma per diventare hub delle energie rinnovabili, l’Italia dovrà ammodernare e allargare la rete di trasmissione dell’elettricità. E questa è un’urgenza, a prescindere.