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L’ambiente paga il prezzo altissimo della politica dei divieti - Terra dei Figli Blog
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L’ambiente paga il prezzo altissimo della politica dei divieti

L’ambiente paga il prezzo altissimo della politica dei divieti

Intervista a CARLO STAGNARO

Direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni

Nel suo ultimo libro, scritto assieme ad Alberto Saravalle, accusa la politica di non aver avuto il coraggio di scelte strategiche e visione per il Paese. Può un governo tecnico recuperare questo “gap”?

 No, io credo che un governo tecnico può fare alcune tipologie di intervento rese necessarie da una situazione particolare come quella in cui ci troviamo o quella in cui ci siamo ritrovati a causa del COVID, però, in ultima analisi, per rilanciare il paese bisogna anche sapere che paese vogliamo costruire per il futuro e questa è una scelta evidentemente politica e non tecnica.

Con questo non voglio ovviamente dire che i governi tecnici non abbiano una funzione fondamentale – io personalmente credo che nel complesso sia l’esperienza del governo Monti sia quella del governo Draghi siano positive da questo punto di vista – voglio però dire che non si può pensare che i governi tecnici siano un sostituto dei governi politici e che scelte tecniche possano sostituire scelte politiche. Questo è un tema particolarmente rilevante quando parliamo delle riforme: esse non sono l’equivalente di una medicina, dove uno va dal medico che ti fa la diagnosi sulla malattia e ti dice che per guarire devi prendere questa pillola. Le riforme tradiscono una visione di società, tradiscono un’idea del tipo di crescita che vogliamo aver davanti e questo non può che essere frutto di una scelta politica.

Se c’è una critica o un’autocritica che la politica italiana dovrebbe fare è quella di aver, in qualche maniera, subappaltato ai tecnici il tema delle riforme limitando il dibattito a un livello molto superficiale.Quindi, per rispondere in maniera esplicita alla domanda, io credo che un governo tecnico può cercare di mettere a posto alcune cose, ma le scelte di fondo del paese devono essere necessariamente compito della politica.

Spesso quando si parla di “ambiente” si tende a ideologizzarlo senza valutare le conseguenze e alla fine, dicendo sempre no, siamo giunti a riattivare le centrali a carbone. È tempo di quali riforme per risollevare l’economia del Paese tutelando anche l’ambiente? 

Il tema è complicato perché investe tanti aspetti. In generale, io credo che siano importanti due aspetti che sono spesso mancati nella politica energetica-ambientale italiana degli ultimi 20 anni: per primo il fatto che la politica italiana è costruita sui divieti e di questo noi oggi stiamo pagando un prezzo altissimo.
Se noi confrontiamo la situazione italiana con quella di altri paesi europei, nella crisi in cui ci troviamo ci rendiamo conto che noi non abbiamo il nucleare perché il nucleare è vietato, abbiamo una quantità insufficiente di energia da fonti rinnovabili perché la burocrazia è pensata per ostacolare l’investimento privato anziché per facilitarlo, non sfruttiamo o sfruttiamo molto poco le risorse nazionali di idrocarburi perché abbiamo fatto delle moratorie… e così via. La risultante di tutte queste scelte esplicite e di tutti questi divieti impliciti è che noi ci troviamo in una situazione di estrema fragilità.

L’altro aspetto è che, a fronte di una politica costruita come somma di divieti, abbiamo cercato di supplire attraverso l’erogazione disordinata e contradditoria di incentivi e di sussidi alle varie fonti di energia, in particolare ad alcune fonti di energie rinnovabili con il risultato che noi oggi spendiamo una quantità di risorse enorme, circa 12,5 miliardi di euro all’anno, per sostenere tecnologie i cui costi sono poi crollati. Se avessimo adottato un piano di incentivazione delle fonti rinnovabili più razionale e più attento all’evoluzione della tecnologia noi oggi probabilmente spenderemmo meno e avremmo più energia rinnovabile.

Qual è il paese cui dovremmo ispirarci come modello di sviluppo sostenibile? 

Paradossalmente, più che a un paese dovremmo ispirarci a un collage di paesi che è l’Europa. Se guardiamo l’Unione Europea nel suo complesso, vediamo un mix energetico abbastanza bilanciato, sia dal punto di vista dalla dipendenza dall’estero, che è inevitabile perché l’Europa ha delle risorse domestiche di petrolio, carbone e gas ma non sufficienti a soddisfare il nostro fabbisogno, sia dal punto di vista dell’equilibrio tra varie fonti nucleari, rinnovabili, etc. Questo equilibrio lo perdiamo se guardiamo i singoli paesi: per esempio la Francia è iperdipendente dal nucleare, l’Italia e la Germania sono drasticamente sbilanciate sul gas e in particolare su quello russo e così via. Da questo punto di vista, quindi, la domanda che dovremo farci è come cercare di passare da sistemi nazionali squilibrati a un unico sistema energetico europeo equilibrato e, parallelamente, dalle storture delle politiche industriali nazionali a una più armonica concorrenza nel mercato europeo.

Credo che la risposta sia essenzialmente in due aspetti: il primo è investire sulle interconnessioni in maniera tale da facilitare lo scambio di energia tra i diversi paesi e quindi anche dare concretezza alle promesse di mutuo soccorso che oggi gli stati membri dell’UE si stanno facendo reciprocamente.
Dall’altro lato occorre disegnare sia le politiche di incentivazione sia le politiche fiscali, in modo tale che premino tutte quelle fonti di energia che garantiscono un miglioramento della qualità ambientale, ma che contemporaneamente vadano a premiarle nella misura in cui producono miglioramento ambientale: noi oggi diamo incentivi differenziati a seconda del tipo di tecnologia, eppure il beneficio che le varie tecnologie producono è sostanzialmente lo stesso, un kWh di fotovoltaico ha lo stesso beneficio ambientale di kWh di eolico o di geotermico e quindi andrebbero trattati nello stesso modo. 

Simmetricamente, lo stesso andrebbe visto dal punto di vista della fiscalità ambientale, poiché una tonnellata di CO2 produce lo stesso danno a prescindere da qual è la sua origine – che derivi dal gas, dal petrolio o dal carbone – andrebbe trattata allo stesso modo.

Infine, è importante che l’Europa mantenga la sua leadership in campo ambientale. Ma è anche cruciale che gli obiettivi siano fissati con razionalità e che tengano conto che nessun target può essere considerato alla stregua di una variabile indipendente.

La sostenibilità è il cuore della politica energetica europea, ed è bene che sia così, ma se ci si dimentica completamente della competitività e della sicurezza energetica ci si trova nella situazione in cui siamo, e della quale siamo gli artefici. Anche qui, spetta alla politica coniugare i diversi obiettivi e indicare in che modo si intende raggiungerli, secondo quale percorso, attraverso quali policy. Il fine non è indipendente dai mezzi e i partiti dovrebbero indicare esplicitamente gli uni e gli altri, altrimenti si rischia di ridurre tutto a una contesa da derby, il cui costo ricade inevitabilmente sulle spalle di cittadini e imprese. 

La Redazione