AMBIENTE, NORME OPPRESSIVE E TROPPA BUROCRAZIA
Intervista a ENRICO (CHICCO) TESTA
Dirigente, autore, docente e presidente Fise AssoAmbiente
Lei è stato attivista ecologista già negli anni ’80 parallelamente alla sua attività politica, ma solo negli ultimi anni l’ambiente è diventato centrale nelle agende politiche e governative.
L’ambiente è diventato un tema centrale a seguito della quasi unanimità raggiunta dagli organismi scientifici sul rischio del riscaldamento globale, dell’azione svolta dall’Onu, degli accordi di Parigi e delle varie Cop che si sono tenute in giro per il mondo. è scattato un allarme generale molto autorevole perché proveniente direttamente dall’Ipcc, dall’organismo dell’Onu e da diversi Governi.
Crede sia stato un input sufficiente per i Paesi?
Il problema è che gli obiettivi sono tutt’altro che facili da raggiungere per vari motivi. Il principale è rappresentato dal fatto che non si può fare un ragionamento con una logica esclusivamente europea. I 4/5 dell’umanità vive al di fuori dagli Stati Uniti e dall’Europa con tutto ciò che ne consegue: livello di reddito e un consumo di energia molto minori rispetto ai nostri standard. Basti pensare all’India e all’Africa, paesi che hanno consumi energetici equivalenti a un decimo rispetto a quelli americani ed europei. Allo stesso tempo, senza crescita energetica non c’è spazio per quella economica, ma assicurare la prima senza il contributo dei combustibili fossili, è praticamente impossibile. Non è sempre possibile ricorrere alle rinnovabili in molte tecnologie in quanto per loro investire in tecnologie alternative risulterebbe molto costoso.
Oggi i grandi emettitori di gas serra sono diventati la Cina, l’India, l’Africa, ma basta calcolare le emissioni pro capite di questi Paesi per comprendere che si tratta di percentuali ancora molto lontane dalle nostre. Ed è qui che sta la contraddizione.
Quanto incide l’intervento pubblico del Governo nazionale e di quelli regionali nel supportare la transizione ecologica? La tutela ambientale è ancora ritenuta un costo o è vista come un investimento?
Ormai certi standard ambientali sono stati acquisiti nella nostra legislazione sia nazionale che regionale. Purtroppo c’è da evidenziare anche un altro risvolto, ovvero un’interpretazione delle norme ambientali spesso oppressiva e molto burocratica che poco guarda alla sostanza dei problemi e molto alla forma o a preoccupazioni spesso mal calcolate. Penso all’estrazione di gas e petrolio dal nostro mare, un processo a noi impedito ma che viene invece attuato da tutti i Paesi del Mediterraneo. Eppure basterebbe un’analisi ambientale seria per comprendere che risulterebbe meno inquinante rispetto all’importazione via tubo o nave dove si registrano diverse perdite.
Inoltre, questa legislazione presta il fianco all’intervento scomposto dei magistrati e delle Procure della Repubblica. Abbiamo moltissimi casi di interventi basati su interpretazioni molto punitive che, anziché ridurli, hanno portato a un aumento dei danni ambientali.
Cosa potrebbe fare il Governo per spianare la strada alle imprese nel raggiungimento degli obiettivi?
In questo settore, come in tanti altri, è più che mai necessario un lavoro di semplificazione e un impegno al mantenimento di criteri nazionali condivisi, affinché non ci siano disparità tra regioni.
Oramai il 90% delle imprese si è adeguata alle migliori pratiche ambientali ma vivono la legislazione ambientale più come una minaccia che un aiuto. Nel settore dei rifiuti, per esempio, c’è una quantità esorbitante di reati definiti “di carta” collegati fondamentalmente a moduli non compilati e carte non messe a posto: si tratta di tutta quella storia italiana che da molto tempo terrorizza le imprese che ormai passano la maggior parte del loro tempo a riempire carte.
Al netto delle attuali volontà politiche e necessità conclamate di sviluppo sostenibile, le imprese italiane di “servizi” ritiene siano pronte alla transizione ecologica avviata?
Nel mondo delle imprese non vedo grossi ostacoli: sono preparate e coscienti di quello che va fatto. Il ritardo è dovuto alla qualità delle amministrazioni, soprattutto quelle regionali. Basti pensare al divario tra la Lombardia e la Sicilia, due mondi distanti.