CREDITI DI CARBONIO, LA GRANDE SPECULAZIONE DEI CERTIFICATI PER PROGETTI INESISTENTI
La vicenda è di quelle destinate a fare rumore e accendere il dibattito nella comunità economica e scientifica mondiale. Anche perché a sollevarla è un clamoroso articolo pubblicato il 24 agosto dall’autorevole rivista scientifica internazionale “Science”, che parla chiaramente di fallimento dei progetti di conservazione delle foreste tropicali che generano crediti di carbonio. (Forest carbon offsets are failing | Science). Un argomento complesso e delicato al contempo, che, secondo quanto sta emergendo, non si ridurrebbe soltanto ad una questione di carattere ambientale.
IL CASO
Ma andiamo con ordine. Secondo quanto affermato dall’autorevole rivista internazionale, il sistema adottato da aziende e governi per affrontare le emissioni di combustibili fossili tramite la compensazione, investendo in progetti per fermare le emissioni di anidride carbonica, ad esempio riducendo la deforestazione, o investendo in progetti di assorbimento del carbonio, come il ripristino delle foreste, si stanno rivelando un fallimento. La rivista sostiene, attraverso un apposito studio, che questa compensazione fatta di progetti con pagamento per l’acquisto di appositi certificati per ridurre le emissioni conservando le foreste tropicali, non stia riducendo la deforestazione e stia anzi peggiorando il cambiamento climatico.
Questa inaffidabilità del meccanismo starebbe anche generando una grande quantità di cosiddetti “crediti spazzatura”, cioè di certificati di riduzione delle emissioni che non vengono più acquistati sul mercato volontario del carbonio, perché frutto, appunto, di progetti inefficaci che non generano la richiesta compensazione. Una quantità di certificati che si sta sempre più gonfiando e che si stima possa essere addirittura pari alle intere emissioni annue del Giappone. Un meccanismo vizioso, dunque, che sta generando scossoni nel mercato dei crediti di carbonio a cui accedono le aziende di tutto il mondo per realizzare le richieste compensazioni, ma sta generando anche altre conseguenze, come l’avallo di violazioni dei diritti umani e causando anche deforestazione in diverse zone.
L’assunto da cui parte Science è che la conservazione delle foreste tropicali è della massima importanza per il futuro dell’umanità e della biodiversità. I cambiamenti nell’uso del suolo, per lo più la deforestazione nei tropici, emettono 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno, seconda solo all’uso di combustibili fossili, che emette 35 miliardi di tonnellate. La riduzione delle emissioni a zero netto è necessaria per stabilizzare le temperature globali e uno dei meccanismi attraverso cui si cerca di arrivare a questo obiettivo è, appunto, la compensazione a livello globale attraverso l’emissione di certificati di riduzione delle emissioni.
L’INCHIESTA GIORNALISTICA
Ma qualcosa, evidentemente, non sta funzionando. Già nei mesi scorsi un’inchiesta del Guardian, portata avanti con altre due testategiornalistiche,Die Zeit e SourceMaterial, aveva aperto uno squarcio inquietante (Revealed: more than 90% of rainforest carbon offsets by biggest certifier are worthless, analysis shows | Carbon offsetting | The Guardian). A seguito di tale inchiesta erano arrivate le dimissioni del CEO di Verra, cioè l’ente certificatore dei progetti di compensazione del carbonio forestale,
L’inchiesta giornalistica aveva rilevato che più del 90% dei crediti di carbonio riferiti alle foreste tropicali sarebbero crediti fantasma che si rifanno allo standard Verra, finora considerato il più affidabile al mondo. L’acquisto di tali crediti, per intenderci, consente ad aziende di vari settori, dalla moda all’intrattenimento, di etichettare i loro prodotti come “carbon-neutral”, e quindi continuare a produrre senza ridurre le emissioni perché ciò, in teoria, dovrebbe avvenire appunto altrove, attraverso le compensazioni. Un vero sasso nell’ingranaggio del meccanismo delle compensazioni di carbonio, perché Verra emette ¾ di tutti i certificati volontari e il suo programma di protezione delle foreste pluviali vale il 40% di questi crediti.
COME FUNZIONA IL MECCANISMO DEI CREDITI
In maniera sintetica, il meccanismo dei crediti prevede che un’azienda investa in un progetto di cura e conservazione di una superficie forestale ai tropici, in grado di stoccare maggiore quantità di carbonio, rispetto ad altre foreste, per compensare le sue emissioni inquinanti. Le foreste da proteggere tramite i progetti sono quelle “a rischio taglio” e in tal modo la foresta evita di scomparire e può continuare a svolgere il suo compito di serbatoio di carbonio. Se un’azienda investe in progetti di questa natura, può calcolare le tonnellate di CO2 che la foresta salvata assorbirà ogni anno, rispetto a uno scenario in cui quell’area fosse stata deforestata. Il calcolo produce crediti di carbonio, che hanno un valore economico definito dal mercato e possono essere venduti e comprati, in un sistema di finanziarizzazione del clima. Chi compra crediti di carbonio può usarli per compensare emissioni troppo alte nel suo business e far tornare i conti senza modificare le proprie strutture produttive.
Lo schema chiamato REDD+, acronimo di Reducing emissions from Deforestation and Forest Degradation, è stato introdotto nel 2013 per incentivare i paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni dovute alla deforestazione e ai processi di degrado forestale. Ma il tutto si è rivelato solo una bolla speculativa. Secondo quanto riportato dalla rivista Science, infatti, il rischio deforestazione in base ai quali i progetti sono stati approvati, è quasi sempre sovrastimato, cioè si gonfia l’emergenza indicando a rischio foreste che in realtà non lo sono, e i crediti di carbonio generati non hanno alcun effetto reale sul cambiamento climatico. Accade, inoltre, che la protezione delle foreste avviene spesso a danno delle popolazioni indigene locali, espulse dagli ecosistemi in cui vivevano in armonia con la natura perché ritenuti una minaccia al controllo di tali foreste.
Un articolato meccanismo messo in piedi, dunque, che non aiuta a combattere la deforestazione o il cambiamento climatico. Però, proprio in virtù di queste potenziali e solo ipotizzate compensazioni, le aziende che hanno acquistato i relativi certificati hanno potuto portare avanti operazioni di greenwashing, dichiarandosi sostenibili o certificando le loro attività come “a zero emissioni”. Una vicenda scomoda e che promette ulteriori risvolti ma da cui emerge chiaramente che il meccanismo delle compensazioni e il relativo mercato dei certificati e crediti necessita di una profonda revisione.