Top
ENERGIA E RICERCA, IL PARADOSSO DELL’AIE. L’AGENZIA INTERNAZIONALE È FINANZIATA DAGLI STATI, I DATI RACCOLTI NON SONO APERTI A TUTTI MA VENDUTI A CARO PREZZO. - Terra dei Figli Blog
fade
3751
post-template-default,single,single-post,postid-3751,single-format-standard,eltd-core-1.2.1,flow child-child-ver-1.0.1,flow-ver-1.6.3,,eltd-smooth-page-transitions,ajax,eltd-blog-installed,page-template-blog-standard,eltd-header-type2,eltd-sticky-header-on-scroll-up,eltd-default-mobile-header,eltd-sticky-up-mobile-header,eltd-dropdown-default,eltd-header-style-on-scroll

ENERGIA E RICERCA, IL PARADOSSO DELL’AIE. L’AGENZIA INTERNAZIONALE È FINANZIATA DAGLI STATI, I DATI RACCOLTI NON SONO APERTI A TUTTI MA VENDUTI A CARO PREZZO.

ENERGIA E RICERCA, IL PARADOSSO DELL’AIE. L’AGENZIA INTERNAZIONALE È FINANZIATA DAGLI STATI, I DATI RACCOLTI NON SONO APERTI A TUTTI MA VENDUTI A CARO PREZZO.

Nel grande fermento di iniziative e dati statistici che caratterizza il dibattito internazionale sui cambiamenti climatici, transizione energetica, salvaguardia del pianeta, spicca una situazione a dir poco paradossale. Alcuni dei dati fondamentali per determinare scelte e azioni circa le tematiche citate sono raccolti e lavorati dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE o IEA all’inglese), che però rende disponibile pubblicamente solo una frazione dei propri dati e rilascia il resto solo dietro pagamento di tariffe molto costose. Tutto questo accade nonostante l’AIE, che ha sede a Parigi, sia in gran parte sovvenzionata attraverso fondi pubblici erogati dai 30 Paesi finanziatori, tra cui l’Italia, i quali hanno stabilito tale requisito, vale a dire che una parte del budget dell’AIE sia prodotto attraverso la vendita di dati. Dunque molti dei dati importanti raccolti da questa agenzia internazionale sono protetti da copyright e coloro che necessitano di accedervi, a partire dagli stessi ricercatori, devono acquistare una licenza che costa migliaia di dollari. Un paradossale sistema che porta a diversi ostacoli nelle ricerche sui cambiamenti climatici, con la ridicola situazione per cui mentre da una parte gli Stati finanziano ricerche in una corsa contro il tempo per fermare il degrado ambientale, dall’altra la condivisione dei dati è bloccata proprio dal fatto che l’accesso agli stessi non è libero ma a pagamento.

A denunciare questo stato di cose sono stati due giornalisti, Hannah Ritchie e Max Roser, con due articoli pubblicati sull’autorevole rivista “Nature” (n. 598, ottobre 2021, consultabile su https://doi.org/10.1038/d41586-021-02691-4) e su uno dei più importanti siti a livello internazionale sulla ricerca in ambito economico e sociale www.ourworldindata.org  (“Global energy data”, 7 ottobre 2021).

Secondo i due giornalisti, il fatto che la maggior parte dei dati della IEA non sia aperto ma bloccato da richiesta di pagamento, impedisce a molti ricercatori di accedervi, ostacolando la condivisione e l’analisi dei dati. Questo comporta ulteriori sforzi nella ricerca, con gli alti costi dei dati che escludono molti stati e strutture di ricerca dal dialogo globale su energia e clima e quindi, per paradosso, ostacolano proprio il raggiungimento della missione stessa da parte dell’AIE. Uno stato di cose che certamente va contro i principi di trasparenza e riproducibilità nella ricerca scientifica, senza contare che a livello generale i benefici e il notevole impulso alla ricerca che il libero accesso ai dati dell’AIE potrebbe fornire, sarebbero di gran lunga superiori ai vantaggi recati dagli incassi che la stessa Agenzia ottiene dalla vendita dei suoi dati.  E’ un ostacolo, inoltre, per la missione dell’AIE di guidare il dialogo globale sull’energia e significa che l’immenso valore dei suoi dati e del suo team di ricerca risulta sottoutilizzato.

Se consideriamo anche, sottolineano Ritchie e Roser, che gran parte della ricerca sull’energia e il cambiamento climatico è finanziata con fondi pubblici, spesso sono gli stessi Paesi che finanziano l’AIE a sborsare altri soldi pubblici, attraverso le loro strutture di ricerca, per l’accesso a questi stessi dati, è evidente che si tratta di una situazione assurda. Questo mentre accade che per comprendere al meglio le problematiche che ci troviamo ad affrontare in ambito energetico e ambientale avremmo sempre più bisogno di dati accessibili e di alta qualità, in un flusso di condivisone che dovrebbe essere alla portata di tutti.

Inoltre, se si tiene conto che nel 2018 il bilancio annuale dell’AIE è stato di 27,8 milioni di euro, sostengono ancora i due giornalisti, e che le entrate derivanti dalle vendite di pubblicazioni e dati equivale a circa 5,6 milioni di euro all’anno, è chiaro come siamo di fronte a un meccanismo che ha davvero poca logica. I ricavi relativamente piccoli generati dalla vendita dei dati non giustificano gli enormi svantaggi causati da queste restrizioni.

E così, nonostante sia una delle sfide più urgenti che dobbiamo affrontare, quella energetica è l’unica area di sviluppo senza un set di dati globale ad accesso aperto che ricercatori, responsabili politici e innovatori possano utilizzare. Così facendo, l’AIE, che vuole essere al centro del dialogo globale sull’energia, fornendo analisi autorevoli, dati, raccomandazioni politiche e soluzioni reali per aiutare i Paesi a fornire energia sicura e sostenibile per tutti, di fatto fornisce dati solo a strutture selezionate ed élitarie, limitando la condivisione e il dialogo globale sull’energia. E’ il fenomeno chiamato “database hugging disorder”, la tendenza delle organizzazioni a proteggere i propri dati.

Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato, aggiungono Ritchie e Roser, una lezione chiave, è che i dati globali tempestivi, accurati e aperti sono fondamentali per la comprensione di un problema e per una risposta appropriata ad esso. Allo stesso modo in cui la mancanza di dati pubblici avrebbe potuto fermare la lotta contro la pandemia, la mancanza di dati pubblici sul sistema energetico e climatico ostacola la risoluzione di una delle più grandi sfide a cui siamo chiamati.

L’AIE fornisce dati energetici cruciali che non sono disponibili altrove, svolgendo un lavoro statistico di enorme valore. È la fonte di riferimento per la maggior parte dei ricercatori e costituisce la base della modellizzazione dei sistemi energetici nei rapporti di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). È anche la fonte fortemente utilizzata nelle scelte di politica energetica operate nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Il settore energetico e climatico rimane una delle poche, se non l’unica, area di ricerca che accusa questo deficit sui dati. Per comprendere i sistemi alimentari globali e la nutrizione, i ricercatori di tutto il mondo  possono fare affidamento sui dati dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (la FAO delle Nazioni Unite); nella salute globale opera l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS); per le ricerche su povertà e disuguaglianza si può fare affidamento sui dati della Banca Mondiale; nel campo dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari è attivo il programma di monitoraggio congiunto OMS/UNICEF per l’approvvigionamento idrico, i servizi igienico-sanitari e l’igiene (JMP). Tutte queste istituzioni sono in gran parte finanziate con fondi pubblici e tutte rendono disponibili le loro banche dati come bene pubblico, gratuito e ad accesso aperto per tutti.

Per risolvere questo problema, gli Stati  che forniscono finanziamenti all’AIE dovrebbero modificare le restrizioni sui loro contributi finanziari e colmare il piccolo divario di 5-6 milioni di euro. Ecco l’elenco dei 30 Paesi membri dell’AIE che ne finanziano l’attività: Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Irlanda, Italia, Giappone, Corea, Svizzera, Australia, Finlandia, Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Canada, Danimarca, Messico, Nuova Zelanda Norvegia, Repubblica Slovacca, Turchia, USA, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia.

Fabio Benvenuti