Top
RIUSO DEGLI IMBALLAGGI, LE AZIENDE ITALIANE IN POLEMICA CON LA UE PER LA NUOVA NORMATIVA      - Terra dei Figli Blog
fade
4616
post-template-default,single,single-post,postid-4616,single-format-standard,eltd-core-1.2.1,flow child-child-ver-1.0.1,flow-ver-1.6.3,,eltd-smooth-page-transitions,ajax,eltd-blog-installed,page-template-blog-standard,eltd-header-type2,eltd-sticky-header-on-scroll-up,eltd-default-mobile-header,eltd-sticky-up-mobile-header,eltd-dropdown-default,eltd-header-style-on-scroll

RIUSO DEGLI IMBALLAGGI, LE AZIENDE ITALIANE IN POLEMICA CON LA UE PER LA NUOVA NORMATIVA     

RIUSO DEGLI IMBALLAGGI, LE AZIENDE ITALIANE IN POLEMICA CON LA UE PER LA NUOVA NORMATIVA     

Il recupero e riuso degli imballaggi sta diventando oggetto e terreno di scontro tra le aziende italiane e l’Unione Europea, con le prime che si ritengono svantaggiate dalla nuova norma della UE che intende imporre alle aziende nuove modalità per il recupero degli imballaggi. In particolare, sono Conai, Federdistribuzione e Confindustria a chiedere a Bruxelles una revisione del provvedimento.

I NUMERI

Vediamo intanto alcuni numeri attorno a questa discussione. Nel Rapporto di sostenibilità 2022 del Conai, che è il Consorzio nazionale imballaggi italiano, un’associazione privata senza fini di lucro costituita da produttori e utilizzatori di imballaggi a cui aderiscono quasi 800 mila imprese e che opera con i Comuni (7.583 nel 2021, 98% degli abitanti serviti) in base a specifiche convenzioni, i numeri dimostrano come l’Italia è tra i Paesi più virtuosi nel riciclo.

Afferma il presidente di Conai, Luca Ruini: «Stiamo parlando di benefici ambientali sempre più importanti per il nostro Paese, soprattutto in un momento di crisi energetica come quello che stiamo attraversando. Il riciclo permette di risparmiare non solo materia, ma anche energia primaria e CO2. L’Italia, del resto, è già leader a livello europeo in questo settore dell’economia circolare: siamo il primo fra i grandi Paesi per riciclo pro capite degli imballaggi».

Secondo uno studio dell’Università Bocconi e del Wuppertal Institute, l’Italia è uno dei Paesi europei in cui il riciclo degli imballaggi ha i risultati migliori e costa meno: le performance superano quelle di stati industrializzati come Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Repubblica Ceca.

Per quanto riguarda ad esempio il CoReVe, il consorzio del sistema Conai che raggruppa 109 aziende del vetro, tra recuperatori e riciclatori, importatori industriali e commerciali, e produttori di imballaggi, il nostro Paese è ormai da due-tre anni oltre i target di riciclo fissati dalla Ue per il 2030. Vale per tutti i materiali, ma per il vetro nel 2012 l’Italia ha avviato al riciclo quasi 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggi, su circa 2,4 milioni conferite alla raccolta differenziata. Il tasso complessivo nazionale lo scorso anno è stato del 76,6%, superiore all’obiettivo del 75% fissato dall’Unione europea. L’Italia è il terzo produttore al mondo di imballi di vetro per uso alimentare, alle spalle di Stati Uniti e Cina, con 4,7 milioni di tonnellate di vetro cavo prodotto nel 2021, di cui 2 milioni vendute all’estero.

COSA NON VA

Fin qui i numeri ma, come spiega Gianni Scotti, il presidente di CoReVe, «non significa che non esista anche in Italia un meccanismo di riutilizzo, ma è una questione particolarmente delicata perché nel nostro Paese, come anche in Francia e in Spagna, il tema dell’iconicità dell’imballo è molto importante, a differenza che in altri Paesi. Prenda ad esempio la Germania, dove tutte le birre sono contenute in bottiglie di forme sostanzialmente identiche. Da noi basta uno sguardo agli scaffali di qualunque supermercato per accorgerci della varietà di forme e colori utilizzati per birre e acque minerali, ma anche per i vasetti a uso alimentare. È un tema rilevantissimo per le aziende, che fa parte anche di strategie di marketing ben precise e che dunque non sono disposte a rinunciare alla propria unicità». In sostanza, un meccanismo di riutilizzo porterebbe ogni punto vendita a ricevere indietro dai clienti i prodotti in vetro utilizzati e poi rinviarli allo specifico fornitore o produttore, che si occuperà di rigenerare l’imballaggio per reimmetterlo sul mercato. Un sistema complesso, che richiederebbe alla grande distribuzione di mettere a disposizione spazi aggiuntivi e differenziati a seconda dei prodotti, senza contare le distanze fisiche per rimandare i rifiuti esattamente a quello specifico produttore.

È un sistema che potrebbe funzionare per grandi quantitativi oppure entro i 200 chilometri di distanza per il tragitto dal punto di raccolta al produttore. «Oltre questa distanza diventa svantaggioso non solo dal punto di vista economico, ma anche ambientale – spiega Scotti – Il vetro è un materiale che si presta al riutilizzo, ma che pesa molto e quindi richiederebbe tantissimi autotreni per il trasporto, con relative emissioni di CO2, senza contare l’utilizzo della risorsa acqua per disinfettare gli imballi e togliere le etichette». Con il rischio di compromettere i risultati che l’industria italiana del riciclo ha raggiunto anche in termini ecologici: l’attività dei consorziati CoReVe ha permesso, nel 2021, di risparmiare 3,9 milioni di tonnellate di materia prima, 412 milioni di metri cubi di gas, evitando inoltre l’emissione in atmosfera di 2,4 milioni di tonnellate di CO2.

Questo, dunque, è il confronto in atto sul riciclo e riuso degli imballaggi. Diverso, invece, è il tema del riutilizzo di altre materie che entrano nel ciclo produttivo e in cui l’Italia può vantare un altro primato che alimenta la cosiddetta economia circolare. Ma questa è davvero tutta un’altra storia.                

La Redazione